Archinto pubblica l’uno accanto all’altro due libri che raccontano il lungo e ininterrotto dialogo tra due protagonisti della storia dell’arte del Ventesimo secolo, Roberto Longhi e Giuliano Briganti.
Il primo, Roberto Longhi, a cura di Giovanni Agosti, raccoglie gli scritti che in quasi quarant’anni Briganti ha dedicato al grande studioso: una sorta di esame di coscienza, in pubblico, sulla natura dei rapporti tra maestro e allievo.
Il secondo, Incontri. Corrispondenza 1939-1969, a cura di Laura Laureati, contiene l’intero carteggio Longhi-Briganti e indaga il versante più privato del rapporto fra i due studiosi, che inizia più indietro nel tempo rispetto al più antico dei testi che compaiono nel volume curato da Agosti: Giuliano conosceva infatti Longhi fin dall’infanzia.
I testi raccolti nel primo titolo coprono l’arco che corre dalla celebrazione di Longhi, nel 1955, sulle pagine della «Fiera letteraria», in cui Briganti festeggiava il maestro in compagnia di Cecchi, Toesca, Contini, Bassani, Bertolucci, Volpe, Pallucchini, Soldati, fino ai molti interventi pubblicati sulle pagine de «la Repubblica», quotidiano cui Briganti ha dedicato decenni della sua attività, cercando di mettere a punto uno stile di informazione accessibile e chiaro, non vanamente polemico, ma sempre percorso da una forte tensione civile.
In questo campionario di scritture non manca una prova narrativa, in cui il ricorso al sogno è un altro modo per affrontare l’ombra del Maestro. Sullo sfondo scorre il panorama della storia dell’arte in Italia nel secondo Novecento, tra editoria, università e inesorabile, progressiva, perdita di autorevolezza culturale.
Incontri dipana il carteggio iniziato quando Roberto Longhi è un quarantanovenne professore universitario già molto noto, e Giuliano Briganti – figlio di Aldo, collega e amico – un ventunenne studente che si laureerà un anno dopo. Il primo documento è un telegramma dell’agosto 1939. L’ultimo, datato 2 aprile 1969, è un’affettuosa lettera di Longhi, ormai ottantenne e vicino alla morte (3 giugno 1970), inviata al figlio del compagno di gioventù. Briganti ha quasi cinquant’anni ed è già maestro, ma non ha dimenticato che «gli allievi e non solo i libri […] sono fatti per riunire gli uomini al di là della morte e difenderci contro il nemico più implacabile di tutta la vita: la dimenticanza».
Giuliano Briganti (1918-1992), laureatosi a Roma con Pietro Toesca con una tesi su Pellegrino Tibaldi, è stato allievo di Roberto Longhi e suo assistente a Firenze nei primi anni Quaranta del Novecento. Ha insegnato Storia dell’arte moderna, prima, e contemporanea, poi, all’università di Siena e, dal 1983 Storia dell’arte moderna all’università di Roma. Ha scritto alcuni libri fondamentali: La Maniera italiana (1961), Pietro da Cortona o della pittura barocca (1962), Gaspar van Wittel e l’origine della veduta settecentesca (1966) e I pittori dell’immaginario (1977). Dal 1965 al 1968 è stato collaboratore de «L’Espresso» e, dal 1976 fino alla morte, de «la Repubblica».
Archinto nel 2007 ha pubblicato Affinità, a cura di Laura Laureati, cronistoria di incontri che hanno segnato la vita dell’uomo e dello studioso.
Roberto Longhi (1890-1970), allievo di Pietro Toesca e Adolfo Venturi, è stato uno storico e critico d’arte. Fin dagli esordi si è rivelato personalità di primo piano nella cultura italiana, anche attraverso la collaborazione a riviste quali «La Voce» e «Vita artistica» e alla creazione di nuove riviste come «Proporzioni» e «Paragone». Importantissimi i saggi dedicati a Caravaggio (Ultimi studi su Caravaggio e la sua cerchia, 1943 e il catalogo della Mostra del Caravaggio e dei Caravaggeschi del 1951) e Piero della Francesca (1927 e nuove edizioni fino al 1962). Professore di Storia dell’arte alle università di Bologna e Firenze, ha contribuito, spesso con apporti critici fondamentali, all’organizzazione di grandi mostre.