I frutti della terra di Arturo Tosi nello scrigno di Palazzo Pitti, fino all’8 novembre

Non posso dire, come naturale, di aver realizzato tutti i miei sogni. Ho certo conquistato un linguaggio personale. Ho penetrato profondamente l’essenza della pittura. Da un paio di anni ho abbastanza fede. Posso dire di aver catturato il vero…ma ora avverto l’esigenza di andare oltre, di fare quadri-puri-disola emozione e sentimento”. Scriveva di se, nel 1952, Arturo Tosi, all’età di ottantuno anni, appena quattro anni prima della morte, con la consapevolezza di chi ha raggiunto ormai la propria maturità espressiva e avverte quella libertà di agire che si conquista con l’andare degli anni. Qui alla Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti sembra che Arturo Tosi abbia dato un convivio con i suoi amici artisti per onorare “I frutti della terra”, da una parte il tema della natura morta nella sua più alta espressione del Novecento italiano, dall’altra il sodalizio e l’amicizia vera tra artisti e critici attraverso le lettere, le cartoline, gli inviti a mostre e i ringraziamenti reciproci. La mostra “I frutti della terra. Arturo Tosi e altri” che è stata presentata  alla presenza delle curatrici Simonella Condemi direttrice della Galleria d’arte moderna di palazzo Pitti e Maddalena Paola Winspeare, della critica d’arte Elena Pontiggia, della nipote Michelina Tosi e del presidente dell’associazione Arturo Tosi, è in linea con Expo 2015 e prende il via anche dalla donazione di un autoritratto alla Galleria degli Uffizi avvenuta nel 2013 ed è corredata da un catalogo scientifico edito da Sillabe. E’ profondo e delicato il legame tra il pittore lombardo e gli altri grandi del Novecento. Un entusiastico dipinto di Filippo De Pisis del 1941 riporta la scritta W Tosi, è una straordinaria natura morta, che solo De Pisis è in grado di regalarci, ravvivata da una vivace presenza, un galletto delle rocce che immerge il lungo becco in un vaso ricolmo di uva e frutti, su uno sfondo che pare una tela appena iniziata. E ancora sarà De Pisis sfollato a Venezia nel 1944 che vedrà la mostra alla Galleria del Cavallino e vorrà subito comunicare la sua gioia con una cartolina in cui scrive “ Sono qui ad ammirare la tua splendida pittura, che freschezza, che forza, che gusto, bravo”, o ancora una lettera del 10 luglio del 1943 di Gianni Vagnetti che gli comunica l’intento di realizzare una sua personale a Firenze in una galleria di cui si occupa personalmente come consigliere “ Vorrei inaugurarla – dice Vagnetti – con una tua personale memorabile” e poi conclude con i saluti e sottolineato dentro un riquadro “ Voglio comprare un tuo quadro”, quale più grande attestato di stima per un artista, il desiderio di acquistare un’opera da parte di un collega artista. E ancora la lettera di Plinio Nomellini del 23 febbraio del 1927 che apre idealmente la mostra perché come scrive l’artista a Tosi “ Tu non devi mancare a Pitti! Ci contiamo tutti per avere una rappresentanza della tua arte e severa”, l’invito è per l’ 80° Esposizione Nazionale a Palazzo Pitti. De Pisis, Carena, Casorati, Vagnetti, Soffici, Rosai, Carrà, Salietti, ci sono proprio tutti, come nelle estati al Forte dei Marmi, ancora una volta insieme a colui che come scrisse Raffaele Monti “…ebbe la forza e la genialità di compiere un’operazione che non era riuscita oppure non era neppur stata tentata da gran parte dei pittori italiani della sua generazione; quella di bruciare tutti i residui ottocenteschi del proprio linguaggio ( soprattutto i tranelli naturalisti) e presentarsi in una prima splendida maturità dotato di una percezione assolutamente di timbro novecentesco”. E tutto questo appena nei primi anni venti del Novecento.

 

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