Due attori provano a distanza il testo di Berkoff: lei è Ofelia e si immaginava il suo Amleto in modo molto diverso da quello a cui la realtà l’ha messa a confronto. Dopo un iniziale disappunto, però, la fascinazione per il testo, con le sue spiraliformi e sensuali circonvoluzoni retoriche, prende il sopravvento e la costringerà (drammaticamente) a rivedere le sue posizioni iniziali. È così che sulla scena noi vediamo infine proprio quello spettacolo, provato conflittualmente a distanza, e che alla fine ha preso forma.
L’amore segreto di Ofelia di Steven Berkoff ha la forma di uno scambio epistolare: si tratta delle ben note lettere che Ofelia, in un punto molto famoso della tragedia shakespeariana, restituisce ad Amleto e il cui contenuto il Bardo ci tiene genialmente (e opportunamente) nascosto. Nel voler esporlo a tutti costi, rivelando l’indicibile, si misura qui una sorta di strappo, di rottura del senso del pudore, talora quasi comica, che ci mette a contatto con la parte oscena, in senso etimologico (cioè “fuori dalla scena”) e, appunto, segreta, di quell’amore così celebre. La sproporzione tra contenuti pulsionali e spirito adolescenziale da una parte e il linguaggio arcaico dei versi dall’altra, e in parallelo quella tra gli attori e il testo che devono andare a interpretare, imprimono a poco una strana accelerazione all’immobilità della scena, che viene enfatizzata dal procedere inevitabile e fuori campo della tragedia, dalla quale sono stati prelevati i due sfortunati protagonisti. Il loro destino drammatico si compie fatalmente in un altrove misterioso e sconosciuto, di cui però il pubblico conosce già tutti i dettagli: le morti, la follia, il tragico finale. Nell’inevitabile incedere del dramma, però, si incastrano qui questioni nodali anche per la nostra epoca: la distanza tra passione e azione, il rapporto conflittuale con un ruolo obbligato a cui dobbiamo o vogliamo per forza aderire, il sentimento di un tempo implacabile che tutto trascina, la sovrapposizione tra finzione e realtà, sogni e desideri.
NOTE
La vicenda del Principe di Danimarca e della sua amata Ofelia è nota.
Steven Berkoff parte da questa e con un esperimento teatrale ricostruisce un loro segreto e ipotetico rapporto epistolare. Un pretesto per scandagliare i silenzi e le domande senza risposta di questo grande testo.
39 lettere, brevi monologhi che come in un inesorabile conto alla rovescia esplorano i meandri della relazione fra i due personaggi che Shakespeare suggerisce solamente.
Un linguaggio carnale temperato con la tenerezza e l’ironia che si svolge fra immagini di amore cortese, desiderio sessuale e premonizioni della futura tragedia.
Quello che ci stimola in questa sfida è di rendere queste parole corporee, parole che esprimono passioni del tutto contemporanee, costruire una drammaturgia fisica sfruttando la complicità e l’alternanza del rapporto epistolare, parole e gesti che si infilano, si sovrappongono, costruiscono immagini e emozioni, una recitazione sottratta, con la parola che diventa un vomito un pretesto per creare una partitura fisica figlia dello stato interiore che stanno vivendo, senza perdersi in motivazioni psicologiche da addurre alla follia, solo l’uso furioso di corpi incastrati in un sistema, che vorrebbero liberarsi dalle trame delle tumultuose vicende ambientate ad Elsinor.
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