Il posto di Annie Ernaux

Da poco so che il romanzo è impossibile. Per riferire di una vita sottomessa alla necessità non ho il diritto di prendere il partito dell’arte, né di provare a fare qualcosa di “appassionante” o “ commovente”. Metterò assieme le parole, i gesti, i gusti di mio padre, i fatti di rilievo della sua vita, tutti i segni possibili di un’esistenza che ho condiviso anch’io. Nessuna poesia del ricordo, nessuna gongolante derisione. La scrittura piatta mi viene naturale, la stessa che utilizzavo un tempo ai miei per dare le notizie essenziali”. Grazie all’editore illuminato L’Orma e alla traduzione di Lorenzo Flabbi arriva in questi giorni nelle librerie italiane “Il posto”.  In Italia era già conosciuta attraverso alcuni suoi libri come “ Gli armadi vuoti” uscito nel 1996 con traduzione di Romana Petri o “Passione semplice ” nel 1992 tradotto da Idolina Landolfi, inspiegabile però l’assenza de “Il posto” che l’ha consacrata quale una delle più importanti autrici del panorama letterario francese contemporaneo. E’ Annie Ernaux che nel 1984 con questo libro autobiografico conquista il Premio Renaudot, oltre cinquecentomila copie vendute, adottato nelle scuole e manifesto letterario di quella che lei stessa definisce la “scrittura piatta”. L’unica possibilità per annullare quella distanza che col tempo, con gli studi, le esperienze, il matrimonio,  si è venuta a creare con la famiglia e con i luoghi di origine, la Senna Marittima, in Bassa Normandia. A quarantadue anni la necessità, non più prorogabile di fare i conti con il passato, dopo la tragica morte del padre, per lei figlia della guerra, “un gioco di idee”, lo definisce, che le procura “la stessa sensazione del lusso, sensazione di irrealtà”, le parole ricordate, quelle usate all’ora, scritte in corsivo, ritornare nei luoghi per ritrovare negli altri le stesse espressioni, gli stessi gesti. Come gironi danteschi una vita che si affranca, prima dalla fattoria, poi dalla fabbrica per arrivare alla gestione di un negozio. Il sogno della facciata  intonacata di bianco, raggiunta quando ormai è già di moda lo stile “a traliccio normanno”. Autobiografico e al tempo stesso universale ci riporta indietro alla dura vita nei villaggi della  Normandia del secolo scorso dove si parla il cauchois e si beve sidro. http://www.lormaeditore.it/

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