Uffizi. Il “mash up” di Artemisia Gentileschi, come il suo autoritratto divenne quello di Caterina figlia di Ferdinando de’ Medici

La Santa Caterina d’Alessandria di Artemisia Gentileschi, di proprietà delle Gallerie degli Uffizi, potrebbe essere un ‘mash up’ tra l’autoritratto della celebre pittrice ed il ritratto di Caterina, figlia del Granduca Ferdinando de’ Medici, realizzato durante la sua permanenza alla corte dei signori toscani. La nuova ipotesi emerge dalle analisi, da poco terminate, effettuate sul dipinto dagli specialisti dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze: le indagini, molteplici e non invasive (sono state usate una pluralità di tecniche diagnostiche, tra le quali l’utilizzo di raggi ultravioletti, infrarossi e X) sono durate circa un mese ed hanno portato alla rivelazione della laboriosa genesi di questo dipinto dell’artista romana. Lo studio, condotto da Maria Luisa Reginella e Roberto Bellucci con la supervisione di Cecilia Frosinini, ha mostrato che sotto la superficie dell’opera esiste una versione preesistente della Santa Caterina, senza corona e con un turbante, ed il volto più rivolto verso l’osservatore, anziché di tre quarti e con lo sguardo rivolto verso l’alto, in contemplazione, come appare nel dipinto finito.

A portare alla luce questi dettagli ‘sepolti’ nel quadro sono stati, in particolare, gli esami ai raggi X: grazie al loro uso, emerge anche una iniziale posizione diversa della mano sinistra della santa, poi cambiata dalla Gentileschi, un velo sulla scollatura dell’abito (dotato di una sorta di colletto che in un primo momento aveva fatto pensare ad una veste maschile, idea successivamente accantonata) ed un misterioso piccolo volto in corrispondenza della parte a sinistra del viso di Santa Caterina, del tutto decontestualizzato rispetto all’opera finita o alla sua precedente versione. Per questo dettaglio è stato possibile solo ipotizzare che fosse un abbozzo iniziale di un’opera del tutto diversa, poi abbandonato.

Artemisia evidentemente riutilizzò questa tela iniziata, come del resto molti artisti del periodo erano soliti fare, per risparmiare sui materiali. Dall’analisi delle versioni sottostanti la Santa Caterina i restauratori hanno tratto alcune importanti considerazioni: in primis, hanno notato, anche attraverso operazioni di sovrapposizione virtuale, come la versione della martire con il turbante sia praticamente identica all’opera della Gentileschi acquistata alcuni mesi fa dalla National Gallery di Londra.

In secondo luogo, partendo da questa riflessione, è stato ipotizzato che entrambe le tele, quella in possesso degli Uffizi e quella del museo inglese, derivino dallo stesso disegno (cartone). A livello generale, i risultati ottenuti dagli studi dell’Opificio confermano, anche grazie al raffronto con altri dipinti della Gentileschi, la tesi secondo la quale Artemisia usasse abitualmente la sua stessa immagine come modello per dipingere le figure femminili. Non solo: secondo gli specialisti del prestigioso ente di restauro, l’artista, partendo dal disegno di base, potrebbe aver modificato l’opera inserendo una corona con elementi medicei e cambiando parzialmente i tratti del viso della santa forse in omaggio alla figlia di Ferdinando, che portava lo stesso nome della santa, Caterina, appunto.

“Caterina, figlia di Ferdinando e sorella di Cosimo II, coetanea di Artemisia, era in quegli anni al centro delle politiche matrimoniali di casa Medici – spiega la storica dell’arte Cecilia Frosinini – vi fu infatti un tentativo di prometterla in sposa al principe del Galles e, successivamente, venne data in moglie al duca Ferdinando Gonzaga di Mantova. Il dipinto può essere un omaggio a lei o forse solo anche ispirato a questa figura dinastica, nel momento in cui la pittrice ritrae una Santa Caterina diversa dalle altre versioni della martire di Alessandria, così fortemente connotata da attributi medicei”.

Ancora una volta – aggiunge Frosinini – aver intrapreso una campagna diagnostica su un’opera, anche molto nota, ma mai affrontata da questo punto di vista, consente un arricchimento delle conoscenze e certamente darà spunto agli studiosi, da ora in poi, di riconsiderare questa opera nel percorso stilistico di Artemisia e di poterla meglio relazionare con le altre versioni conosciute che l’artista dedica alla martire di Alessandria”.

Tornata dall’Opificio, la Santa Caterina avrà una nuova collocazione: da oggi, sarà permanentemente esposta nella sala della Medusa, dove dialogherà idealmente con la mostruosa creatura del Caravaggio.

“Quest’anno potremo celebrare la Festa della Donna – commenta il direttore delle Gallerie degli Uffizi, Eike Schmidt – con queste importanti rivelazioni, che cambiano ciò che sappiamo riguardo ad Artemisia, una delle pittrici più importanti di tutta la storia dell’arte. La maestria degli specialisti dell’Opificio ha permesso di scoprire i segreti della nostra bellissima Santa Caterina: e ora, grazie al loro lavoro, siamo felici di poter affermare che oltre ai cinque capolavori dell’artista di proprietà delle Gallerie, gli Uffizi ne conservano un altro aggiuntivo, fino ad oggi nascosto sotto la pittura visibile della Martire d’Alessandria”.

LA STORIA DI SANTA CATERINA D’ALESSANDRIA

Secondo la Leggenda Aurea, Caterina era un’avvenente giovane cristiana, vissuta nel 4/o secolo dopo Cristo, che rifiutò di convertirsi al culto pagano secondo l’ordine che le venne impartito dall’imperatore romano. Durante una sfida dialettica seguita al suo diniego, la ragazza si dimostrò capace di convertire al Cristianesimo i retori incaricati dallo stesso imperatore di convincerla ad abbandonare il suo credo religioso. Infuriato per quanto accaduto, l’imperatore, dopo aver fatto uccidere i retori, condannò Caterina al supplizio della ruota; ma un angelo intervenne e le salvò la vita. Allora, pazzo di rabbia, l’imperatore le fece tagliare la testa.

CENNI BIOGRAFICI SU ARTEMISIA

Nata nel 1593 a Roma, figlia del noto pittore Orazio Gentileschi, Artemisia ebbe una vita molto travagliata, e visse in svariate città, tra le quali Firenze, Venezia, Londra e Napoli, dove morì, dopo il 1654. All’età di 18 anni venne stuprata da un collega del padre, il pittore Agostino Tassi: il trauma della violenza e quello legato all’umiliante processo che seguì, la segnarono profondamente ma seppe emergere con forza anche grazie a una personalità forte e alle sue eccezionali doti artistiche. Ispirata dallo stile caravaggesco, è diventata una delle pittrici più celebri nella storia dell’arte: tra le sue opere più conosciute e apprezzate vi è la Giuditta che decapita Oloferne, custodita a Firenze nella Galleria degli Uffizi.

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