Michelangelo and the Ideal Body, una mostra al National Museum of Western Art di Tokyo

La mostra Michelangelo and the Ideal Body,  fino al 24 settembre, ideata da Ludovica Sebregondi, e curata da Ludovica Sebregondi con l’archeologo Takashi IIzuka, è organizzata dal National Museum of Western Art di Tokyo , NMWA, disegnato da Le Corbusier nel 1959, unico museo nazionale interamente dedicato all’arte occidentale in un paese non occidentale, insieme a NHK, la televisione pubblica giapponese, NHK Promotions, il quotidiano Yomiuri Shimbun e MondoMostre.

L’idea dell’esposizione nasce – anche in vista delle Olimpiadi del 2020 che si terranno appunto a Tokyo – dal fondamentale rapporto tra Michelangelo e la rappresentazione del corpo maschile. Michelangelo: l’artista rinascimentale che pone come fulcro della sua ricerca la figura maschile nuda e che, giovanissimo, si avvicina alle opere dell’Antichità grazie allo studio delle raccolte conservate nel Giardino di San Marco della famiglia Medici a cui attinge per la creazione di capolavori moderni.Michelangelo ricerca un ideale estetico, che sia anche etico, in cui si racchiuda il pensiero greco della kalokagathia, l’ideale di perfezione fisica e morale dell’uomo. E dunque in mostra i capolavori dell’artista dialogano sia con le opere del mondo classico, con i suoi ideali di perfezione, seguendo le fondamentali regole del canone di Policleto, sia con quelle della successiva etàellenistica, in cui si sottolineano le espressioni e i sentimenti dell’uomo reale.

A Michelangelo, si giunge gradualmente, preparati da un percorso di oltre settanta opere che nella prima sezione illustra le raffigurazioni delle diverse età dell’uomo attraverso opere fondamentali eseguite nelle diverse tecniche e nelle differenti tipologie: opere di pittura (affreschi e tavole), scultura (in marmo, bronzo, terracotta invetriata), disegni, incisioni, maioliche, vasi greci e piatti rinascimentali. In mostra si percorrono così le età dell’Uomo attraverso la “Bellezza infantile ed efebica”, “La perfezione del volto”, “Atleti e guerrieri”, “Dei ed eroi” seguendo l’evoluzione dei principi di bellezza maschile in un dialogo stretto e continuo fra Antico e Rinascimento.
La bellezza infantile è una bellezza tenera, rappresentata in antico da Eros, frutto dell’unione tra Afrodite, dea dell’amore, e Ares, dio della guerra, secondo un mito che prese piede in età ellenistica. Un’immagine, quella dell’Eros alato, che diventò un tipo canonico e ispirò molte rappresentazioni del Cupido romano e, molto più tardi, dei cherubini e dei putti rinascimentali. La bellezza si immedesimò anche nei cosiddetti “spiritelli” del Rinascimento, figure di fanciullini alati che rappresentavano per il mondo antico il soffio vitale che anima il corpo umano, secondo la concezione elaborata da Aristotele. La bellezza innocente è proposta anche dalle figure di Gesù Bambino, diffusissime nell’arte occidentale. Gli efebi erano nell’Antico i giovani di 18-20 anni, al primo livello dell’arruolamento di leva, e l’efebia sanciva l’uscita dall’infanzia. Col tempo il termine è però passato a indicare un ragazzo giovane (i cosiddetti paides di 12-18 anni) dalla grazia delicata, quasi femminea, un adolescente. Un’avvenenza priva di sessualità, la stessa che ha poi contraddistinto gli angeli del mondo cristiano e taluni santi. Un momento di passaggio cruciale nella formazione dell’uomo adulto.

La “Perfezione del volto” illustra come nel Rinascimento gli artisti abbiano creato un’immagine ideale di bellezza maschile, di cui Cristo era visto come la quintessenza secondo il Salmo 45, 3, un
verso che si trova spesso come iscrizione sulle immagini cristologiche rinascimentali: «Preciosus forma prae filiis hominum» (Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo). Un riferimento, dunque, al tema della somiglianza dell’uomo a Dio (Genesi 1, 26), che era stata offuscata dal Peccato originale
e che si rinnova nella figura di Cristo. Altri volti di santi o condottieri sono riconducibili all’ideale antico. In epoca greca arcaica e classica, l’arte esprime un ideale di bellezza astratta e assoluta: gli atleti vengono rappresentati nella gloria della vittoria o nel momento della tensione fisica e dell’agone, testimoniando anche del successo, presso i Romani, dei giochi gladiatori. Dal periodo ellenistico gli artisti sperimentarono – oltre alle posture classiche – anche posizioni nuove, rappresentando figure che si muovevano più liberamente nello spazio, con posizioni enfatiche, teste e corpi dalle torsioni più dinamiche e il corpo umano viene spesso raffigurato nella foga della battaglia. In mostra si segue una narrazione che illustra come i canoni di bellezza maschili si siano adeguati ai tempi: figure diafane ed efebiche si sono alternate, o affiancate, a giganti muscolosi e potenti capaci di trasmettere ideali di forza e protezione. I canoni policletei, governati dall’armonia, sono sempre comunque rimasti un imprescindibile punto di riferimento. Tutto attraverso opere di artisti come Andrea del Castagno, Mariotto Albertinelli, Andrea e Giovanni della Robbia, Baccio Bandinelli, Mino da Fiesole, Giovan Angelo da Montorsoli, Il Moderno, per citare solo quelli rinascimentali.

La seconda sezione è dedicata a “Michelangelo: ideali di bellezza maschile”, con l’esposizione di due capolavori dell’artista, entrambi appartenuti al duca Cosimo de’ Medici.
Il San Giovannino (1495-1496) proviene dalla Capilla del Salvador di Úbeda, in Andalusia, proprietà della Casa Ducal de Medinaceli, opera di un Michelangelo ventenne, inviata nel 1537 da Cosimo de’ Medici, che l’aveva ereditata da un ramo della famiglia bandito dalla città. Cosimo cercava infatti appoggi politici essendo diventato duca di Firenze appena diciassettenne e donò il San Giovannino a Francisco de los Cobos, segretario di Carlo V. L’opera è stata danneggiata profondamente durante gli eventi bellici spagnoli degli anni Trenta del Novecento, ma nel 2013 si è concluso un avveniristico restauro da parte dell’Opificio delle Pietre Dure.
Appartenne a Cosimo anche l’Apollo-David del Bargello (1530 circa). Cosimo ne entrò in possesso perché era stato confiscato a Baccio Valori, decapitato come “ribelle” per suo ordine nel 1537. L’opera è documentata nella camera del duca in un inventario 1553, ed è descritto da Vasari come un Apollo che sta togliendo una freccia dalla faretra, ma che viene ricordato negli inventari anche come David.
In mostra a fianco della scultura michelangiolesca ruotano figure di Apollo, dio della giovinezza fiorente, collocato, come divinità tutrice, nei ginnasi e nelle palestre, venerato come protettore dei cacciatori e dei corridori, indicato per presiedere alla crescita di giovani sani, robusti e anche belli. Esposte anche immagini di David, il personaggio dell’Antico Testamento più rappresentato nella Firenze del Rinascimento, poiché simbolo della vittoria del giusto protetto dal Signore. Un giusto che si fa anche emblema del bello.
La sezione prosegue con una grandiosa copia del gruppo del Laocoonte e i suoi figli avvinti dai serpenti, opera di riferimento fondamentale per gli artisti rinascimentali e per Michelangelo in particolare. La copia romana in marmo di un originale greco in bronzo di età ellenistica,oggi ai Msusei Vaticani, fu ritrovato mercoledì 14 gennaio 1506 a Roma, e Michelangelo corse ad ammirarlo quando era ancora immerso nella buca di terra. In mostra una grandiosa versione del 1584 circa, opera di Vincenzo de’ Rossi (Fiesole 1525-Firenze 1587), alta quasi due metri.

La terza sezione presenta “Michelangelo uomo” di cui vengono ricostruiti l’aspetto esteriore e una “biografia per immagini” per farlo meglio conoscere ai visitatori orientali.

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