150 anni fa il David di Michelangelo alla Galleria dell’Accademia di Firenze

La Galleria dell’Accademia di Firenze ricorda un altro anniversario importante! Martedì 8 agosto ricorrono i 150 anni dall’arrivo del David di Michelangelo, l’8 agosto del 1873, alla Galleria. La storia del suo trasporto è una storia talmente affascinante che vogliamo ripercorrerla in questa occasione.

L’imponente statua marmorea, capolavoro del Buonarroti, creata dal giovanissimo artista tra il 1501 e il 1504, era stata collocata in Piazza Signoria, sull’Arengario di Palazzo Vecchio, a simboleggiare le virtù politiche della Repubblica fiorentina. Lo scultore Lorenzo Bartolini fu il primo, già nel 1842, a presentare un progetto di spostamento del David, sottolineando che “… Questa magnifica statua si degrada alle intemperie, il desiderio è di poterla conservare …”. Nella seconda metà dell’Ottocento, nel 1866, una commissione composta da artisti scienziati e tecnici, presieduta da Luigi Menabrea ed Emilio Santarelli, valutò l’urgenza e l‘imminente necessità di sottrarla agli agenti atmosferici. Così, nel 1872 fu presa la decisione di rimuovere la statua e, seguendo il suggerimento di Emilio De Fabris, tra i più autorevoli architetti fiorentini, costruire uno spazio museale ex-novo che la potesse degnamente ospitare. La Galleria dell’Accademia fu scelta come luogo deputato, De Fabris progettò “una vera e propria tribuna in onore del sommo artista”, un tempio laico coperto da una volta di vetro che avrebbe garantito un’illuminazione il più naturale possibile.

Lo spostamento fisico, impensabile ai tempi nostri, si protrasse per sette giorni, dal 30 luglio all’8 agosto 1873 e, a causa del gran caldo, avvenne soprattutto durante le prime ore della mattina, dalle 4 alle 11. Un’impresa ciclopica che suscitò grande entusiasmo e curiosità nella popolazione fiorentina, registrata con tono enfatico dalle cronache locali.

L’architetto Emilio De Fabris e l’ingegner Francesco Porra realizzarono un carro ammortizzato per assorbire eventuali urti, un castello in legno e ferro che si muoveva su rotaie ferroviarie, come testimonia il modellino preparatorio, conservato nel Museo di Casa Buonarroti a Firenze. Il castello con la statua pesava 19 tonnellate!

Il 4 agosto, dopo aver attraversato le principali vie della città, Il David fu introdotto dall’Accademia di Belle Arti mediante un’apertura ottenuta distruggendo la parete d’ingresso dell’edificio. Nel diario delle operazioni, una nota finale riporta: “Venerdì 8 agosto. Ricondotto e calato sulla base, ove starà finché Dio vorrà“.

Oggi, dopo 150 anni, dopo quell’impresa coraggiosa e all’avanguardia, la Galleria dell’Accademia di Firenze continua ad essere la casa del David” aggiunge il direttore Cecilie Hollberg. “Un’opera iconica, la cui forza simbolica e perfezione rimane attuale, al di là di ogni periodo storico, che attira migliaia di persone da tutto il mondo, solo per incrociare il suo mirabile sguardo. Il nostro compito è quello di continuare a proteggerlaE per il suo anniversario la presentiamo in una nuova luce.”

Per celebrare questa mirabile scultura, la Galleria dell’Accademia, in quest’anno, l’ha avvolta di una nuova luce. Oltre al recentissimo impianto di illuminazione che utilizza tecnologie di ultima generazione a LED, è stata effettuata messa in sicurezza  e una pulizia approfondita del lucernario: adesso, più di prima, la luce naturale filtra in maniera eccellente, illumina il David, permettendo di coglierne ancor di più tutti i dettagli e regalando alla Tribuna un’atmosfera ancora più suggestiva, diversa col passare delle ore e nei vari momenti della giornata.

Dopo l’estate sarà organizzato un evento ad hoc per festeggiare questa importante ricorrenza.

Oltre il David di Michelangelo, riapre la Gipsoteca, gioiello della Galleria dell’Accademia

Un vero gioiello, la Gipsoteca della Galleria dell’Accademia di Firenze, che riapre al pubblico con una nuova veste, dopo due anni e mezzo di lavori, che chiudono i grandi cantieri iniziati nel 2020. BEYOND THE DAVID è il titolo con cui il direttore Cecilie Hollberg presenta la nuova Galleria dell’Accademia, a sottolineare che il museo non è solo scrigno della scultura michelangiolesca, amata in tutto il mondo, ma è testimone di importanti collezioni legate all’arte fiorentina che oggi, finalmente, emergono rubando la scena persino al David.

 La Gipsoteca è l’ultimo preziosissimo tassello del processo di rinnovamento della Galleria dell’Accademia di Firenze” afferma con soddisfazione Cecilie Hollberg. “Compito che mi è stato affidato dalla riforma Franceschini, ovvero traghettare dall’800 nel XXI secolo un’inedita e moderna Galleria. Un’impresa enorme che siamo riusciti a portare a termine grazie al sentito e costante impegno del nostro piccolissimo staff e di tutti coloro che ci hanno sostenuto. Nonostante le tante battute d’arresto, dovute alla sospensione dell’autonomia, alla crisi pandemica, alle varie criticità della struttura incontrate in corso d’opera, siamo riusciti a fare il miracolo. L’allestimento della Gipsoteca è stato riordinato e ammodernato nel pieno rispetto di quello storico, e ringrazio l’amico Carlo Sisi per i preziosi consigli. I gessi, restaurati e ripuliti, sono esaltati dal leggero azzurro polvere delle pareti, tanto da sembrare vivi, con le loro vite, i loro racconti. Il risultato è magnifico! Siamo orgogliosi e felici di poterlo condividere da ora con tutti.

Cecilie Hollberg
Ph. Dario Garofalo

 La riapertura della Gipsoteca è un passo importante del percorso intrapreso sin dal 2016 per portare nel ventunesimo secolo la Galleria dell’Accademia di Firenze, uno dei più importanti e visitati musei statali italiani” dichiara il Ministro della Cultura Dario Franceschini. “I lavori, riguardanti l’intero edificio, hanno permesso significative innovazioni negli impianti, rendendo moderno, senza snaturarlo, un museo concepito nella seconda metà dell’OttocentoTutto ciò è stato reso possibile dalla passione, dalla dedizione e dalla professionalità con cui il direttore Hollberg e tutto il personale della Galleria ha operato sin dalla costituzione del museo autonomo nel 2015, tra mille difficoltà e interruzioni dovute alla pandemia. Auguro, pertanto, ogni successo a questa giornata di festa per la Galleria dell’Accademia e rivolgo i miei più sinceri complimenti a tutti coloro che hanno lavorato per ottenere questo importante risultato.

“Quella della Gipsoteca della Galleria dell’Accademia – sottolinea Carlo Sisi, Presidente dell’Accademia di Belle Arti di Firenze – è una restituzione esemplare, che nel rispettare il precedente allestimento ideato da Sandra Pinto negli anni Settanta del Novecento si configura come un vero e proprio atto critico, un’operazione museale che conserva un episodio cruciale della museografia nazionale rinnovandone con intelligenza metodologica la struttura compositiva e la grazia dei dettagli. Il nuovo colore scelto per le pareti consente infatti di recuperare la corretta lettura delle opere, esposte ora nella loro completezza, e la rimozione degli obsoleti condizionatori permette di ammirare la sequenza delle opere senza disturbanti interruzioni, ma con la continuità ‘poetica’ che può finalmente attrarre il visitatore in quella che nell’Ottocento si chiamava l’avventura nell’atelier”.

Galleria dell’Accademia di Firenze – Gipsoteca – foto Guido Cozzi

Il monumentale salone dell’Ottocento, già sede della corsia delle donne dell’antico ospedale di San Matteo, poi incorporato nell’Accademia di Belle Arti, raccoglie la collezione dei gessi, oltre 400, tra busti, bassorilievi, sculture monumentali, modelli originali in gran parte di Lorenzo Bartolini, uno dei più importanti scultori italiani dell’800. La collezione fu acquisita dallo Stato italiano dopo la morte dell’artista e trasferita in questa sede in seguito all’alluvione del’66. Un luogo di grande fascino che ricrea idealmente lo studio di Bartolini, arricchito da una raccolta di dipinti di maestri ottocenteschi che hanno studiato o insegnato all’Accademia di Belle Arti.

Gli interventi sono stati di ordine statico-strutturale, relativi all’impianto di climatizzazione, all’illuminazione e all’impianto elettrico. Per motivi statici e di stabilità climatica sono state chiuse varie finestre, consentendo al nuovo allestimento, con le pareti tinteggiate di color “gipsoteca”, azzurro polvere, di recuperare un ampio spazio espositivo, arricchendo la Gipsoteca anche di quei modelli in gesso che erano sinora conservati negli uffici della Galleria. Le mensole, rinnovate ed ampliate, accolgono i busti-ritratto , che per la prima volta hanno potuto essere messi in sicurezza grazie ad un sistema d’ancoraggio sicuro e non invasivo. I fragili modelli in gesso, nel corso dei lavori di ristrutturazione, sono stati sottoposti ad un attento intervento di revisione conservativa e di spolveratura. Tutte le opere sono state soggette ad un’accurata campagna fotografica.

Galleria dell’Accademia di Firenze – Gipsoteca – foto Guido Cozzi

I grandi cantieri sono iniziati nel 2016, includendo le fasi di studio e preparazione, generando documentazioni e planimetrie che non c’erano. Era necessario: mettere a norma l’impianto di sicurezza; rinnovare l’impiantistica; il restauro architettonico-strutturale della Gipsoteca; il consolidamento o la sostituzione delle capriate lignee settecentesche della sala del Colosso, trasandate; intervenire sugli impianti di areazione e di climatizzazione, mancanti in alcune sale o vecchi di 40 anni; fornire un’adeguata illuminazione.  I lavori si sono sviluppati su 3000 metri quadri del museo. Sono stati sostituiti o sanificati 750 metri di canali di areazione e rinnovati 130 metri di canalizzazioni. Per la prima volta, adesso, il museo ha un impianto di climatizzazione funzionante in ogni sala con nuove luci LED di ultima generazione che valorizzano le opere esposte e contribuiscono all’efficientamento energetico. A seconda delle necessità, sono stati fatti degli interventi su tutte le opere del museo, sono state movimentate, protette, imballate, spostate, spolverate, riviste o altro. E con l’occasione sono state realizzate campagne fotografiche approfondite, conservative o di digitalizzazione, su tutte le collezioni. Sono stati ripensati percorsi e allestimenti.

Dalla sala del Colosso, che apre il percorso espositivo con il suo blu Accademia, caratterizzata, al centro, dall’imponente Ratto delle Sabine, capolavoro del Giambologna, intorno al quale ruota la preziosa collezione della pittura fiorentina del Quattrocento e del primo Cinquecento, all’inedita sala dedicata al Quattrocento, in cui trovano una perfetta collocazione capolavori come il cosiddetto Cassone Adimari dello Scheggia o la Tebaide di Paolo Uccello, finalmente leggibili in tutti i loro meravigliosi dettagli.  Dalla Galleria dei Prigioni alla Tribuna del David, fulcro del museo, con la maggiore raccolta di opere michelangiolesche che la nuova illuminazione esalta, rendendo visibile ogni particolare, ogni segno del “non finito”. Opere che si confrontano con le grandi pale d’altare del XVI e il primo XVII secolo, che testimoniano l’influenza di Michelangelo sui suoi conterranei nella ricerca della nuova spiritualità della Controriforma. E infine le sale del Duecento e Trecento, dove i fondi oro risplendono di una luminosità mai percepita prima sulle pareti tinteggiate di un verde “Giotto”. Oggi la Galleria dell’Accademia di Firenze ha cambiato volto, ha una nuova forte identità.

Galleria dell’Accademia di Firenze – Gipsoteca – foto Guido Cozzi

Per la prima volta riunite “Le tre Pietà di Michelangelo. Non vi si pensa quanto sangue costa”

E’ la prima volta che in una mostra le tre Pietà di Michelangelo vengono esposte insieme in un dialogo di grande intensità spirituale e valore artistico mettendo a confronto le opere, originali e calchi, in cui Michelangelo ha affrontato il tema della Pietà e lo ha fatto in momenti diversi della sua vita e della sua evoluzione artistica. E’ a Firenze, capitale  della pace dai tempi del sindaco  Giorgio La Pira, che in occasione dell’incontro che vede riuniti Vescovi e Sindaci del Mediterraneo e la partecipazione del Santo Padre che al Museo dell’Opera del Duomo nella sala della Tribuna di Michelangelo, di fronte alla Pietà Bandini, recentemente restaurata grazie all’intervento della Fondazione Friends of Florence, sono stati collocati i calchi della Pietà Vaticana e della Pietà Rondanini che sono custoditi nei Musei Vaticani.

La mostra, dal titolo “Le tre Pietà di Michelangelo. Non vi si pensa quanto sangue costa”, con l’omaggio alla frase del Canto XXIX  del Paradiso che lo stesso Michelangelo aveva riportato sul presentation drawing donato a Vittoria Colonna in cui aveva realizzato una Pietà che avrebbe preceduto di poco la Pietà Rondanini, l’ultima realizzata, sarà aperta al pubblico da oggi al 1 agosto. Una mostra che avrà un seguito ad autunno quando i calchi delle tre Pietà saranno esposti a Milano nella Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale con un nuovo allestimento progettato per l’occasione mentre la Pietà Rondanini potrà essere ammirata al Castello Sforzesco nella sua recente collocazione  nello  Spedale Spagnolo riacquistando quella dimensione mistica  che gli è propria. Un progetto importante curato dai direttori dei musei Barbara Jatta, Sergio Risaliti, Claudio Salsi e Timothy Vardon che ha coinvolto, oltre al Museo dell’Opera del Duomo, i Musei Vaticani, il Museo Novecento di Firenze, il Castello Sforzesco di Milano, le istituzioni dell’Opera di Santa Maria del Fiore, Comune di Firenze, Comune di Milano e Fabbrica di San Pietro.

La Sala con l’esposizione
PH. Gianfranco Gori

La cerimonia inaugurale della mostra, nella giornata che ha visto l’apertura del summit “Mediterraneo frontiera di pace 2022”,  si è tenuta nella Sala del Paradiso del Museo dell’Opera del Duomo con gli interventi di Luca Bagnoli, Presidente dell’Opera di Santa Maria del Fiore, S.E. Cardinale Giuseppe Betori, Arcivescovo Metropolita di Firenze, Dario Nardella Sindaco di Firenze, Tommaso Sacchi assessore alla cultura del Comune di Milano, Barbara Jatta Direttore del Musei Vaticani, Sergio Risaliti Direttore del Museo Novecento, Claudio Salsi, Direttore dell’Area Soprintendenza Castello, Musei Archeologici e Musei Storici e Timothy Verdon Direttore del Museo dell’Opera del Duomo. “ Il tema della Pietà – ha sottolineato nel suo intervento S. E. Il Cardinale Giuseppe Betori – non appartiene la Vangelo ma fa parte della religiosità popolare che quando è vera ha sempre una radice biblica. Vorrei indicare almeno tre aspetti della Pietà. Nel Vangelo di Giovanni Maria è ai piedi della croce, insieme all’apostolo Giovanni quello che Gesù amava. Il primo significato della Pietà è rendere visivamente la continuità di Maria che accoglie il corpo di Cristo e tutti noi e poiché Maria è la Chiesa, la Chiesa che ci accoglie. Il secondo aspetto è l’adesione dei due corpi che diventano quasi un unico corpo. Maria e il figlio sono una cosa sola fino alla croce, come Maria è nostra madre, è la prima dei discepoli di Gesù, una cosa sola. Il grembo di Maria è quello che ci ha donato il Bambino e che ora ce lo mostra disfatto dalla Crocifissione e lo mostra di nuovo. Un unico messaggio, il grande dono nella morte e vita di Gesù e Maria sta a ricordarcelo.”

L’esposizione fiorentina ruota intorno al recente e delicato restauro della Pietà Bandini mettendola a confronto con due calchi conservati nei Musei Vaticani, di interessanti provenienze diverse, ma che riproducono in maniera straordinaria e mirabile le altre due Pietà michelangiolesche. “Calchi che non sfigurano accanto all’originale fiorentino – spiega Barbara Jatta, Direttore dei Musei Vaticani – non solo perché condotti a regola d’arte ormai qualche decennio fa da maestranze competenti, ma soprattutto perché, in un’epoca di grandi discussioni sulle riproduzioni NFT (Non Fungible Token) DOC.NFT (Digital Original Copy NFT), testimoniano della necessità che si è sempre avuta di riprodurre capolavori universali della fede e dell’arte per la loro divulgazione ad un ampio pubblico in quanto straordinari mezzi di evangelizzazione e di trasmissione di valori spirituali”.

Il confronto tra queste tre opere per Timothy VerdonDirettore del Museo dell’Opera del Duomo: “Permette di misurare la crescita stilistica del Buonarroti nei cinquant’anni che separano la Pietà giovanile dalle altre due, e l’evoluzione assai più concentrata ma anche drammatica tra la Pietà fiorentina e quella milanese. Permette inoltre di cogliere la maturazione del pensiero di Michelangelo intorno al soggetto sacro tra la fine del Quattrocento e la metà del secolo successivo, mettendo a fuoco il nesso tra vita ed arte nello scultore credente che, per buona parte della sua carriera, era al servizio dei papi e quindi interprete privilegiato delle istanze di una Chiesa in dinamico cambiamento”.

Foto di gruppo
PH. Gianfranco Gori

Per Sergio Risaliti, Direttore del Museo Novecento Firenze: “Questa mostra si tiene in un momento di eccezionale valore storico per la città di Firenze che a fine febbraio sarà teatro di un incontro di pace e di dialogo tra autorità religiose, spirituali e politiche provenienti da tutti i paesi del Mediterraneo. Un evento di enorme portata, che sarà arricchito dall’arrivo in città di Sua Santità Papa Francesco, per portare messaggi di speranza e di misericordia nei giorni in cui il mare nostrum è al centro, come mai negli ultimi decenni, degli scontri geopolitici tra potenze del mondo. E come non riconoscere nelle tre Pietà il dolore degli altri, degli ultimi che cercano un porto sicuro, giustizia e fratellanza”.

“È davvero straordinaria l’occasione di potere ammirare, accanto alla Pietà Bandini, le altre due sculture che Michelangelo Buonarroti creò nel corso della sua lunga vita pensando al tema della Pietà; attraverso l’esposizione di due calchi storici – dichiara Claudio SalsiDirettore dell’Area Soprintendenza Castello, Musei Archeologici e Musei StoriciMilano – gli elementi di continuità e discontinuità emergono con chiarezza quando con uno sguardo d’insieme cerchiamo di cogliere l’essenza di tutta l’opera del grande scultore toscano”.

 “La tradizione evangelica si sofferma con sobrietà sulla figura della Madre del Signore. Nella religiosità popolare e nell’arte al contrario, si moltiplicano espressioni e immagini a riguardo della Vergine”, scrive il Cardinale Giuseppe Betori. Tra le immagini più significative che lungo i secoli hanno dato forma alla figura di Maria nel cuore dei credenti c’è senza dubbio la Pietà, il corpo di Gesù deposto dalla croce accolto dalla Madre tra le braccia. Di questo gesto non v’è traccia nei racconti della passione del Signore che ci offrono nei Vangeli e di esso non fa menzione neanche la letteratura apocrifa. Dal Medio Evo in poi, invece, a partire dalle regioni germaniche, la Pietà diventa una delle più diffuse raffigurazioni mariane, e insieme cristologiche”.

 “Tra gli appuntamenti di Mediterraneo frontiera di pace – spiega Dario Nardella, Sindaco di Firenze – rifulge la straordinaria mostra che mette insieme per la prima volta le tre Pietà scolpite da Michelangelo. In un’epoca in cui l’arte sembra essere destinata sempre più a una dimensione virtuale, mostre come questa ci restituiscono la fragrante importanza di un’esperienza diretta della scultura anche attraverso il calco derivato dall’originale. Forse parrà un modo anacronistico di avvicinarsi ai grandi capolavori di Michelangelo, tuttavia ritengo possa essere di estrema attualità questa apparizione proprio per quella sua virtuosa immanenza. Lasciamoci emozionare dalla possibilità di mettere a confronto le tre Pietà di Michelangelo, sublimi incarnazioni del suo genio, della sua potente immaginazione e profonda spiritualità. Vederle accanto, in una sorta di dialogo ‘impossibile’, sarà un’emozione senza pari”.

Per Luca Bagnoli, Presidente dell’Opera di Santa Maria del Fiore: “La mostra è un progetto di alto valore spirituale e artistico che ha un particolare significato nel contesto in cui l’Italia e il resto del mondo si trovano adesso, costretti a un periodo prolungato di sofferenza e di isolamento forzato, a causa della pandemia, dai quali ci auguriamo di poter uscire presto per riconquistare una preziosa normalità”.

Tommaso Sacchi, Assessore alla Cultura del Comune di Milano, dichiara: “La città di Milano è lieta di offrire il proprio contributo al grande evento culturale organizzato a Firenze in occasione dell’Incontro dei Vescovi e Sindaci del Mediterraneo. Frutto di una feconda collaborazione tra Istituzioni, il progetto, che vede anche il coinvolgimento di Milano e Città del Vaticano, genererà occasioni di confronto e dialogo, contribuendo a stimolare nuovi spunti di lettura per queste opere che rappresentano un patrimonio artistico e poetico che va ben oltre i confini nazionali”.

In occasione della mostra sarà pubblicato un catalogo realizzato da Silvana Editoriale con saggi e schede dei curatori e di altri studiosi.

 Le tre Pietà scolpite da Michelangelo

La prima Pietà scolpita da Michelangelo

Pietà, calco, Musei Vaticani PH. Gianfranco Gori

 La prima Pietà di Michelangelo fu realizzata a ridosso del giubileo del 1500, quando il cardinale Jean Bilhères de Lagraulas commissionò al giovane Buonarroti “una Vergine Maria vestita con Cristo morto, nudo in braccio”. Il committente era a Roma dal 1491, come capo di una delegazione inviata da Carlo VIII di Valois presso la corte papale per preparare la riconquista francese del regno di Napoli.  Il giovane scultore fiorentino poteva dedicarsi al tema del dolore materno e soprattutto al mistero dell’Incarnazione che “tra le opere di Dio è quella che più sorpassa la ragione”, come ricordava San Tommaso “poiché non si può pensare nessun’opera divina più mirabile di questa, che il vero Dio, il Figlio di Dio, diventasse vero uomo”.

Con la Pietà Vaticana (1498-1499), l’artista impressionò il suo tempo: tale era la bellezza di quel Cristo nudo sorretto amorevolmente dalla Vergine, una giovanissima ragazza umile e casta, avvolta in un profluvio di panneggi per cui Maria è Madre e sposa. Quella giovinezza venne criticata dai più, parendo poco consona alla Madonna. Come ci ricordano le fonti, Michelangelo si difese dalle critiche spiegando che la verginità e la purezza mantengono giovani e belle le donne. Il capolavoro venne collocato nella cappella di Santa Petronilla poco prima del 1500, anno del giubileo. Successivamente la Pietà fu spostata in San Pietro, e nel XVIII secolo fu esposta a destra della navata dove ancora oggi la si può ammirare. In questa Pietà Michelangelo è riuscito a rappresentare la divinità di Gesù calandola nel corpo di un uomo di 33 anni. Cristo appena deposto dalla croce pare dormire in seno alla giovane madre, raggiante nella sua bellezza, luminosa visione di grazie e umiltà.  La morte non oltraggerà quel mirabile uomo: il più bello tra gli esseri viventi. Nel corpo intatto, senza segni di violenza subita, si legge già il risorto, colui che vince la morte.

La seconda Pietà scolpita

Michelangelo, Pietà Bandini, particolare, Museo dell’Opera del Duomo di Firenze.
PH. Gianfranco Gori

     Molti anni dopo la Pietà vaticana, Michelangelo tornò a scolpire lo stesso soggetto. Nel frattempo, Roma era stata saccheggiata, La Repubblica di Firenze era crollata e i Medici erano rientrati in città. Michelangelo ha lasciato Firenze nel 1534 e si è stabilito per sempre a Roma. Dopo la morte di Alessandro de’ Medici, ucciso dal cugino Lorenzo, il duca Cosimo I comanda come un principe assoluto. Nel 1547 muore Vittoria Colonna alla quale l’artista era legato spiritualmente. Michelangelo è un artista ormai anziano sempre più concentrato sul destino umano, sulla morte e resurrezione di Cristo, lavora in preda a frequenti crisi depressive. Vive di contrasti, tra l’attrazione per la bellezza, il pungolo dei sensi e il desiderio di ascesi. Comincia a temere la propria morte, il giudizio divino. Fa voto di povertà. Si aggrappa infine alla croce e mette al centro della sua esistenza e della sua ispirazione Cristo, salvatore dell’umanità. L’esecuzione della Pietà Bandini è lunga e difficile, la datazione controversa. Di sicuro il maestro cominciò a lavorare il blocco intorno al 1547. Tuttavia, Michelangelo non portò a termine il lavoro, e la statua, prima di essere venduta nel 1561 a Francesco Bandini, fu conclusa in alcune parti da Tiberio Calcagni, principale assistente del Buonarroti. La statua avrebbe dovuto essere collocata in Santa Maria Maggiore a Roma, probabilmente per la sepoltura di Michelangelo. Vi si legge infatti una profonda e intensa meditazione sulla Morte e la Redenzione, sul Sacrificio di Cristo e la Salvezza, merce anche il transfert nella figura di Nicodemo.

Secondo Alessandro Parronchi il blocco prelevata da Seravezza e usato per la realizzazione del gruppo era uno di quelli avanzanti per la tomba di Giulio II. Quel marmo, come ricorda anche Vasari, era pieno di impurità ed estremamente duro, tanto che al contatto con lo scalpello emetteva nugoli di scintille. Nel 1553 Vasari, in visita allo studio dell’artista, ebbe l’impressione che Michelangelo esitasse a mostrargliela non terminata. Cercando di variare la posizione delle gambe di Cristo, lo scultore provocò la rottura di un arto. Successivamente, intorno al 1555, prese a martellate la statua rompendola in più punti. Infatti, ancora oggi si osservano segni di rottura sul gomito, sul petto, sulla spalla di Gesù e sulla mano di Maria. Alla morte dell’artista nel 1564 si pensò di utilizzare il gruppo per la sepoltura di Michelangelo a Firenze in Santa Croce. L’opera invece rimase nella villa dei Bandini a Montecavallo e solo nel 1674 venne acquistata da Cosimo III de’ Medici che la destinò ai sotterranei di San Lorenzo. Nel 1722 la Pietà fiorentina fu trasferita in Santa Maria del Fiore. Dal 1981 si trova nel Museo dell’Opera del Duomo.

L’ultima Pietà detta Rondanini

Pietà Rondanini, calco, Musei Vaticani, PH. Gianfranco Gori

 Il progetto risalirebbe agli anni tra il 1552 e il 1553. Secondo le fonti, Michelangelo vi lavorò fino all’ultimo. Infatti, l’opera fu rinvenuta nello studio di Michelangelo dopo la sua morte. Nell’inventario redatto in quei giorni la Pietà è descritta in questi termini: “Statua principiata per un Cristo et un’altra figura di sopra, attaccate insieme, sbozzate e non finite”. Nel gruppo si alternano parti condotte a termine, riferibili alla prima stesura, e parti non finite, legate ai ripensamenti della seconda versione. Acquistata dai marchesi Rondanini nel 1744, la Pietà è arrivata a Milano dove si conserva nel Castello Sforzesco dal 1952.

Esito finale di un lungo percorso di arte e di fede la Pietà Rondanini è piuttosto una preghiera che un’opera d’arte, o meglio è la dimostrazione artistica del fatto che l’uomo di fede ha visto oltre le apparenze reali, che la mano non riesce a restituire quanto l’occhio interiore ha potuto contemplare. Siamo già in un’esperienza di notte oscura. Al posto dei sogni, tante volte riferisce le sue aurorali invenzioni, qui ad aprire la strada all’immaginazione dell’artista è la visione mistica del cristiano immerso in una riflessione notturna sull’Unigenito, sulla passione morte e resurrezione di Cristo. Gesù e Maria sembrano esseri fantasmatici, la pietra tende a farsi materia di luce. Cristo esausto sembra scivolare verso la tomba e con il figlio anche la Madre, la cui umanità è come interamente assorbita dal sentimento di amore. Un unico destino travolge miracolosamente madre e figlio in questa metamorfosi mistica, la stessa già provata al momento dell’annunciazione. Ancora una volta Maria è talamo per il suo Signore. L’evidente inclinazione delle due figure, a una visione laterale, pare suggerire una riflessione sulla Resurrezione e l’Assunzione. Se osserviamo bene infatti i due corpi paiono distaccarsi dal suolo, e assieme raggiungere il Padre.

Museo dell’Opera del Duomo, Firenze

Per orari e biglietti

https://duomo.firenze.it/it/scopri/museo-dell-opera-del-duomo

Michelangelo: L’effigie in bronzo di Daniele da Volterra, 21 febbraio Giornata di Studi

Lunedì 21 febbraio la Galleria dell’Accademia di Firenze ospiterà una giornata di studi nell’ambito della mostra appena inaugurata, “Michelangelo: l’effigie in bronzo di Daniele da Volterra” – curata da Cecilie Hollberg – e dedicata alle effigi in bronzo di Michelangelo, attribuite a Daniele da Volterra, con lo scopo di indagare il complesso rapporto tra originali, repliche e derivazioni, avvalendosi del confronto ravvicinato tra le opere attraverso indagini mai condotte in precedenza.

Galleria dell’Accademia di Firenze – allestimento mostra- foto Guido Cozzi

Daniele Ricciarelli, detto da Volterra (1509 – 1566), fu allievo di Michelangelo e a lui era legato da profonda amicizia tanto da essere presente alla morte del maestro nella casa romana a Macel de’ Corvi, il 18 febbraio 1564. Leonardo Buonarroti, nipote di Michelangelo, gli commissionò, subito dopo, due ritratti in bronzo dello zio e all’incarico dell’esecuzione di questi due busti si aggiunse una terza richiesta avanzata dall’amico e antiquario Diomede Leoni. Il da Volterra morì nel 1566 senza aver rifinito le tre teste promesse a Buonarroti e a Leoni, come risulta dai documenti, redatti a partire dal giorno dopo la sua morte. Ma il problema della cronologia e della fusione delle effigi bronzee di Michelangelo è rimasto da tempo nell’ambito degli studi di storia dell’arte un punto da chiarire; sussiste infatti una sostanziale incertezza circa la provenienza dei numerosi esemplari esistenti. Dei nove ritratti esposti in mostra – quelli di Firenze della Galleria dell’Accademia, del Museo Nazionale del Bargello e di Casa Buonarroti, oltre a quelli prestati dal Musée du Louvre, dal Musée Jacquemart-André a Parigi, dall’Ashmolean Museum a Oxford, dai Musei Capitolini a Roma, dal Castello Sforzesco-Civiche Raccolte d’Arte Applicata a Milano e dal Museo della Città “Luigi Tonini” a Rimini – tre sarebbero attribuibili a Daniela da Volterra; resta quindi da chiarire quali siano quelli originali, quali siano quelli più antichi e quali, partendo dal calco originario, sarebbero arrivati dopo.

Galleria dell’Accademia di Firenze – allestimento mostra- foto Guido Cozzi

Per questo motivo, dichiara Cecilie Hollberg, Direttore della Galleria dell’Accademia di Firenze, la mostra ha il merito di aver riunito finalmente e per la prima volta, in un’unica sede, i nove busti in bronzo di Michelangelo, con l’obiettivo, insieme alla giornata di studi del 21 febbraio che riunisce i maggiori esperti nel settore, di risolvere quesiti ancora aperti.

Grazie al progetto espositivo tutti gli esemplari presenti sono stati sottoposti ad una intensa campagna di analisi non invasive, sia classiche dei materiali che con sofisticati strumenti di ultima generazione e con metodologie innovative.  Sono state condotte indagini scientifiche mai realizzate in precedenza su queste opere, come le analisi geologiche delle terre di fusione o quelle nucleari (XRF) per determinare la natura e la composizione delle leghe di metallo. La proficua e stretta collaborazione con Mario Micheli – professore di storia e tecnica del restauro presso l’Università Roma Tre, noto esperto del settore che ha lavorato già sui bronzi di Riace e sulla lupa capitolina – insieme a un team formato ad hoc, ha aperto nuovi approcci.

Galleria dell’Accademia Firenze – allestimento mostra- foto Guido Cozzi

Ogni testa è stata digitalizzata e stampata in 3D in resina in scala 1:1, grazie a Factum Foundation for Digital Technology in Conservation, organizzazione no-profit spagnola specializzata nell’utilizzo delle nuove tecnologie per la conservazione del patrimonio culturale; è stata digitalmente “mappata” nei punti chiave e nelle corrispondenze, sovrapposta e confrontata in un lavoro di ricerca unico nel suo genere, che ha unito per la prima volta l’esperienza digitale al rigore accademico nell’individuazione delle opere originali, nominate nell’inventario della casa abitata da Daniele da Volterra, e della “genealogia” delle varianti da loro derivate. Per aiutare il confronto, sia agli occhi degli esperti che tramite software di machine learning, per l’esposizione i busti in resina sono stati allineati seguendo una linea immaginaria ricercata e tracciata lavorando sulle stampe 3D.

Galleria dell’Accademia Firenze – allestimento mostra- foto Guido Cozzi

Gli atti del convegno saranno pubblicati in un catalogo scientifico, edito da Mandragora, dove confluiranno le ricerche finora eseguite e i risultati delle indagini diagnostiche, fornendo uno strumento indispensabile per gli studi in questo campo.

L’alto valore scientifico dell’iniziativa è in linea con l’importanza che il MIC-Ministero della Cultura dà sia alla ricerca scientifica, realizzata tramite strumenti tecnologicamente innovativi, che alla divulgazione di tali eventi.

 Sono rimasti pochi posti per partecipare alla giornata di studi del 21 febbraio, per la quale è necessaria la prenotazione all’indirizzo e-mail scaramuzzi@scaramuzziteam.com

 PROGRAMMA

 ore 9.30 – 10.00

Michelangelo: L’effigie in bronzo di Daniele da Volterra, progetto e mostra

Cecilie Hollberg

Direttore della Galleria dell’Accademia di Firenze e curatore della Mostra

ore 10.00 – 10.15

Indagini sui ritratti in bronzo di Michelangelo Buonarroti attraverso la Fluorescenza X portatile

Stefano Ridolfi

Ars Mensurae, Roma

ore 10.15 – 10.30

Studio mineralogico delle terre di fusione rinvenute all’interno dei ritratti in bronzo di Michelangelo

Giancarlo Della Ventura, Antonella Privitera, Armida Sodo

Università degli Studi Roma Tre

ore 10.30 – 10.45

Monitoring difference – online and offline analysis

Adam Lowe

Founder of Factum Foundation for Digital Technology in Conservation

ore 10.45 – 11.00

La Morfometria Geometrica applicata ai beni culturali: il caso dell’effigie in bronzo di Michelangelo ad opera di Daniele da Volterra

Voula Natsi

Factum Foundation for Digital Technology in Conservation

Paolo Piras

Paleontologo dei vertebrati

Valerio Varano

Università degli Studi Roma Tre

Domande e osservazioni da parte del pubblico ore 11.00 – 11.15

 PAUSA

ore 11.45 – 12.05

Copper and tin: proposals for the bronze alloy used for the portrait heads of Michelangelo

Antonia Boström

Victoria & Albert Museum

ore 12.05 – 12.25

Daniele da Volterra e Leonardo Buonarroti, nipote ed erede di Michelangelo

Alessandro Cecchi

Fondazione Casa Buonarroti

ore 12.25 -12.45

Il busto di Michelangelo dei Musei Capitolini: quale modello?

Claudio Parisi Presicce

Direzione Musei archeologici e storico-artistici della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali

 ore 12.45 – 13.05

Βίοι παράλληλοι. I ritratti bronzei di Michelangelo di provenienza medicea (Galleria dell’Accademia – Museo Nazionale del Bargello)

Dimitrios Zikos

Studioso del Rinascimento e della Scultura barocca

Domande e osservazioni del pubblico ore 13.05 – 13.20

 PAUSA

ore 14.30 –14.50

Osservazioni sui procedimenti metallurgici impiegati nei ritratti in bronzo di Michelangelo

Mario Micheli

Università degli Studi Roma Tre

ore 14.50 – 15.10

Il busto della Galleria dell’Accademia di Firenze: conservazione e restauro

Eleonora Pucci

Galleria dell’Accademia di Firenze

 ore 15.10 – 15.30

Charles Fortnum and the nineteenth-century ‘rediscovery’ of the portrait busts of Michelangelo

Jeremy Warren

Ashmolean Museum

 ore 15.30 – 15.45

Approfondimenti archivistici su Diomede Leoni e la sua eredità

Veronica Vestri

Archivista paleografa

Domande e osservazioni del pubblico ore 15.45 – 16.00

 Conclusioni

Salvatore Settis

Scuola Normale Superiore

Possibilità di visita alla mostra fino alle ore 17.30

 

 

Michelangelo: l’effigie in bronzo di Daniele da Volterra alla Galleria dell’Accademia di Firenze

La Galleria dell’Accademia di Firenze ha aperto  al pubblico la mostra Michelangelo: l’effigie in bronzo di Daniele da Volterra, a cura di Cecilie Hollberg, realizzata con la sponsorizzazione di Intesa Sanpaolo – con i musei Gallerie d’Italia, e Intesa Sanpaolo Innovation Center, fino al 19 giugno.

Per la prima volta sono esposti in un’unica sede i nove busti in bronzo di Michelangelo, attribuiti a Daniele da Volterra. Insieme alle tre opere già conservate a Firenze alla Galleria dell’Accademia, al Museo Nazionale del Bargello e a Casa Buonarroti, ci saranno importanti prestiti da vari musei internazionali e italiani come: il Musée du Louvre e il Musée Jacquemart-André a Parigi, l’Ashmolean Museum a Oxford, i Musei Capitolini a Roma, il Castello Sforzesco-Civiche Raccolte d’Arte Applicata a Milano e il Museo della Città “Luigi Tonini” a Rimini.

Daniele Ricciarelli, detto da Volterra (1509 – 1566), fu allievo di Michelangelo e a lui era legato da profonda amicizia tanto da essere presente alla morte del maestro nella casa romana a Macel de’ Corvi, il 18 febbraio 1564. Leonardo Buonarroti, nipote di Michelangelo, gli commissionò, subito dopo, due ritratti in bronzo dello zio e all’incarico dell’esecuzione di questi due busti si aggiunse una terza richiesta avanzata dall’amico e antiquario Diomede Leoni. Il da Volterra morì nel 1566 senza aver rifinito le tre teste promesse a Buonarroti e a Leoni, come risulta dai documenti, redatti a partire dal giorno dopo la sua morte. Il problema della cronologia e della fusione delle effigi bronzee di Michelangelo è rimasto da tempo nell’ambito degli studi di storia dell’arte un punto da chiarire, sussiste infatti una sostanziale incertezza circa la provenienza dei numerosi esemplari esistenti.

“L’idea di questa esposizione – dichiara Cecilie Hollberg, Direttore della Galleria dell’Accademia di Firenze – nasce dall’esigenza di dare un contributo scientifico rispetto al complesso rapporto tra originali e derivazioni.  Michelangelo: l’effigie in bronzo di Daniele da Volterra è una mostra unica e inconsueta che si pone l’obiettivo di rispondere a quesiti ancora aperti grazie anche all’utilizzo di strumenti altamente tecnologici e innovativi. Punto di partenza di questo progetto epocale su Michelangelo Buonarroti e il suo allievo Daniele da Volterra, è stato il riordino e il restauro del busto conservato nel nostro Museo, avvenuto nel 2017. Cogliamo quindi questa occasione per offrire per la prima volta un raffronto diretto dei nove busti che riportano i tratti di Michelangelo Buonarroti, per rivederne i dati, i documenti e la relativa bibliografia. A distanza di quasi cinque secoli, è ora di trovare delle risposte”.

Per questo progetto espositivo tutti gli esemplari presenti sono stati sottoposti ad una intensa campagna di analisi non invasive, sia classiche dei materiali che con sofisticati strumenti di ultima generazione e con metodologie innovative.  Sono state condotte indagini scientifiche mai realizzate in precedenza su queste opere, come le analisi geologiche delle terre di fusione o quelle nucleari (XRF) per determinare la natura e la composizione delle leghe di metallo. La proficua e stretta collaborazione con Mario Micheli – professore di storia e tecnica del restauro presso l’Università Roma Tre, noto esperto del settore che ha lavorato già sui bronzi di Riace e sulla lupa capitolina – insieme a un team formato ad hoc, ha aperto nuovi approcci.

Ogni testa è stata digitalizzata e stampata in 3D in resina in scala 1:1, grazie a Factum Foundation for Digital Technology in Conservation, organizzazione no-profit spagnola specializzata nell’utilizzo delle nuove tecnologie per la conservazione del patrimonio culturale; è stata digitalmente “mappata” nei punti chiave e nelle corrispondenze, sovrapposta e confrontata in un lavoro di ricerca unico nel suo genere, che ha unito per la prima volta l’esperienza digitale al rigore accademico nell’individuazione delle opere originali, nominate nell’inventario della casa abitata da Daniele da Volterra, e della “genealogia” delle varianti da loro derivate. Per aiutare il confronto, sia agli occhi degli esperti che tramite software di machine learning, per l’esposizione i busti in resina sono stati allineati seguendo una linea immaginaria ricercata e tracciata lavorando sulle stampe 3D.

Michelangelo: l’effigie in bronzo di Daniele da Volterra si avvale di un comitato scientifico di esperti internazionali formato da Antonia Boström, Alessandro Cecchi, Mario Micheli, Claudio Parise Presicce e Dimitrios Zikos.

L’alto valore scientifico dell’iniziativa è in linea con l’importanza che il MIC-Ministero della Cultura dà alla ricerca scientifica realizzata tramite strumenti tecnologicamente innovativi e si propone di coinvolgere i maggiori esperti, riunendoli, lunedì 21 febbraio 2022, in una giornata di studio organizzata per questa occasioneLo scopo principale della mostra, che rimarrà aperta fino al 19 giugno 2022, è proprio quello di produrre il primo catalogo scientifico delle effigi in bronzo attribuite a Daniele da Volterra, edito da Mandragora, che uscirà dopo la giornata di studi, dove confluiranno le ricerche finora eseguite e i risultati delle indagini diagnostiche, fornendo uno strumento indispensabile per gli studi in questo campo. Tra i risultati attesi, c’è inoltre quello di allestire un’accurata genealogia delle varianti derivate dai busti di Michelangelo, individuando per quanto possibile provenienza e caratteristiche delle varie esecuzioni.

Oltre a questo volume, per l’inaugurazione, ne sarà pubblicato un altro, un vademecum per l’esposizione, sempre edito da Mandragora.

Firenze : San Miniato, piazzale Michelangelo e Rampe entrano nella zona Unesco

L’Abbazia di San Miniato, la Chiesa di San Salvatore al Monte, le Rampe, il Piazzale Michelangelo, il giardino delle rose e quello dell’iris diventano patrimonio mondiale dell’umanità: l’estensione dell’area del centro storico è stato infatti oggi ratificata dall’Unesco, durante la 44esima sessione del Comitato del Patrimonio Mondiale che si è svolta online direttamente da Fuzhou, in Cina.

“Una giornata storica – dichiara il sindaco Dario Nardella che per primo, insieme a Padre Bernardo Gianni, abate di San Miniato al Monte, aveva annunciato la volontà di chiedere l’inclusione di questa porzione di città all’interno del ‘cuore’ del patrimonio di rilevanza mondiale – perché abbiamo dimostrato lo straordinario valore di quest’area della città: San Miniato e tutta la zona della riva sinistra dell’Arno, la splendida veduta dal piazzale, i giardini, le rampe recentemente restaurate e riportate all’originaria bellezza, saranno da oggi annoverate tra le meraviglie del mondo al pari del centro storico cittadino. In tutto Firenze vanterà oltre 530 ettari di zone di inestimabile valore artistico, storico, ambientale. Grazie a quanti hanno creduto fin dall’inizio in questo esito e hanno lavorato senza sosta per arrivarci e in particolare a Carlo Francini, responsabile sito Unesco del Comune”.

Per il sindaco “è un successo di tutta la città e dei fiorentini ed è il frutto di tutti gli sforzi di questi 7 anni: la pedonalizzazione del Piazzale, il recupero delle rampe del Poggi e delle splendide fontane, il restauro delle scalinate di San Miniato e gli interventi sul cimitero delle Porte Sante. Abbiamo restituito dignità e bellezza ad una porzione dell’immenso patrimonio di Firenze ed oggi il mondo intero ce lo riconosce”.

“La decisione di Unesco ci riempie di gioia: la nostra città allarga il sito patrimonio mondiale e diventa sempre più un gioiello di cultura, storia, arte a livello mondiale”. Lo afferma l’assessore alla cultura Tommaso Sacchi alla notizia dell’estensione dell’area del centro storico che è stata ratificata oggi dall’Unesco, durante la 44esima sessione del Comitato del Patrimonio Mondiale che si è svolta online direttamente da Fuzhou, in Cina.

“La collina che guarda Firenze dalla riva sinistra – continua Sacchi – così carica di tesori inestimabili è stata riconosciuta estensione naturale del centro storico a valle che comprende la parte di città dentro i viali e le antiche mura. Condividiamo la nostra felicità anche con padre Bernardo Gianni, abate di San Miniato a Monte, da sempre al nostro fianco in questa battaglia”. “Oggi – conclude – festeggiamo davvero una vittoria di tutti”.

Il centro storico di Firenze è sito Patrimonio Mondiale Unesco dal 17 dicembre 1982. Nella Dichiarazione di Eccezionale Valore Universale, quest’area viene definita «una realizzazione artistica unica nel suo genere, un capolavoro d’opera, il risultato di una continua creazione protrattasi per oltre sei secoli» in grado di esercitare «una influenza predominante sullo sviluppo architettonico e delle arti monumentali prima in Italia e poi in Europa», che conserva ancora «antiche strade intatte, palazzi fortificati logge, fontane, un meraviglioso ponte risalente al quattordicesimo secolo», raggiunse un «potere economico e politico in Europa tra il quattordicesimo ed il diciassettesimo secolo» e fu coinvolta «in eventi di importanza internazionale: nell’ambiente dell’Accademia neoplatonica si sviluppò il concetto di Rinascimento».

L’ambito territoriale iscritto nella Lista del Patrimonio Mondiale Unesco è il Centro Storico di Firenze, designato come Core Zone e si estende per 505 ettari. Essa corrisponde alla parte della città circondata dai viali e dalle mura medievali, scelta dettata dall’enorme concentrazione di beni culturali, di differente proprietà pubblica, privata e religiosa, presenti in quest’area.

Nel 2019, in occasione del Millenario dell’Abbazia San Miniato al Monte, è ritornato all’attenzione il fatto che, al momento dell’iscrizione del sito nella Lista del Patrimonio Mondiale, l’Abbazia di San Miniato era stata citata esplicitamente quale bene che contribuisce all’eccezionale valore universale del sito, ma non inclusa all’interno della perimetrazione del sito stesso. Per questo nel gennaio 2020 si è ritenuto opportuno fare richiesta al Centro del Patrimonio Mondiale Unesco di estendere la Core Zone del Centro Storico di Firenze al fine di preservare, tutelare, gestire e conservare in maniera adeguata e coerente anche l’Abbazia di San Miniato al Monte. Si è deciso di proporre una estensione che includesse al suo interno il circuito delle mura cinquecentesche che univano le mura trecentesche di Arnolfo di Cambio con il Forte di San Miniato, per una superficie totale di 27 ettari. All’interno dell’area insistono inoltre beni culturali e naturali di grandissimo valore quali, ad esempio il Parco della Rimembranza, luogo di celebrazione della cultura della pace e di memoria della Grande Guerra, il Giardino delle Rose e quello dell’Iris, la Chiesa di San Salvatore al Monte, il sistema delle Rampe con la terrazza panoramica di Piazzale Michelangelo e i Viali realizzati su progetto di Giuseppe Poggi in occasione di Firenze Capitale. La proposta è stata avanzata dall’Ufficio Firenze Patrimonio Mondiale e rapporti con Unesco del Comune di Firenze, coordinata dal responsabile e site manager del sito Carlo Francini. La documentazione presentata è stata sviluppata in collaborazione con il team di HeRe_Lab – Heritage Research, laboratorio congiunto del Comune di Firenze e dell’Università degli Studi di Firenze (Alessia Montacchini, Marta Porcile e Gaia Vannucci).

Davanti a Michelangelo, la Crocifissione di Lorenzo Puglisi in dialogo con il Cristo di S. Spirito

In una delle più significative basiliche fiorentine, l’essenzialità nella pittura sarà a confronto con la «carnosità e morbidezza» della scultura, come scriveva Giorgio Vasari. Nell’ambito delle celebrazioni per i 20 anni dal rientro del Crocifisso di Michelangelo nel complesso monumentale di Santo Spirito di Firenze, la comunità agostiniana accoglierà la presenza della Crocifissione di Lorenzo Puglisi, proprio a fianco del Crocifisso di Santo Spiritodel Buonarroti.

Il Crocifisso ligneo che Michelangelo Buonarroti scolpì  tra il 1493 e il 1494 «a compiacenza del priore», cioè per ringraziarlo dell’ospitalità e dell’opportunità di studiare anatomia, per secoli era rimasto nel nascondimento», nel senso che se ne erano perdute le tracce. Tuttavia la sua esistenza era testimoniata dagli scritti di Vasari e fu proprio questo che spinse la studiosa Margrit Lisner ad approfondire le sue ricerche che, grazie all’accoglienza dell’agostiniano padre Guido Balestri, permisero il ritrovamento del Cristo nudo e la sua attribuzione a Michelangelo.

Michelangelo Buonarroti, Crocifisso, Basilica di Santo Spirito, Firenze.

Dal 1962, anno della sua riscoperta, fino a oggi, il Crocifisso ha vissuto una lunga storia che lo ha condotto a Casa Buonarroti, dove vi è rimasto fino al dicembre del 2000, quando gli Agostiniani, dopo tanti tentativi, riuscirono a ricondurlo “a casa”. Nella Basilica di Santo Spirito, tuttavia, a causa di trasformazioni  architettoniche non fu possibile rimetterlo nell’originale collocazione – occupata dall’altare del Caccini – così fu scelta la Cappella Barbadori della Sacrestia di Giuliano da Sangallo.

In una delle basiliche simbolo dell’Oltrarno  fiorentino, per circa 40 giorni saranno vicini il Crocifisso di Santo Spirito e la Crocifissione di Lorenzo Puglisi, artista che vive e lavora a Bologna, il quale ha realizzato un dipinto a olio su tavola di pioppo sagomata a forma di croce – riprendendo una tradizione storico-artistica che origina dalla pittura dei primitivi e che nell’arte contemporanea si era completamente perduta -, con fondo nero, su cui compaiono solo i risultati della sua “ricerca di essenzialità”, cioè le rappresentazioni della testa inclinata, delle mani e dei piedi del Cristo morto in croce.

Michelangelo Buonarroti, Crocifisso, Basilica di Santo Spirito, Firenze.

Come scrive Padre Giuseppe  Pagano Priore della Basilica di Santo Spirito «Lorenzo Puglisi sarà davanti a Michelangelo per esprimere tutta la forza della Crocifissione, tutta l’Umanità e il Mistero. Rimane così l’interesse di Lorenzo per la natura umana e il mistero dell’esistenza, cercando di raffigurarla con una pittura nel buio, quasi a voler esprimere quella luce che c’è, che spinge, ma che è ancora trattenuta dall’oscurità, così come Michelangelo abbatte la realtà della morte in croce con la bellezza e il sorriso che sono già espressione di una realtà diversa da quella che si vede».

Lorenzo Puglisi, Crocifissione, Basilica di Santo Spirito, Firenze.

Dal canto suo Puglisi sottolinea che «la Crocifissione è un’immagine simbolica e reale al tempo stesso, sia nella tradizione Cristiana, sia nella riflessione più intima sulla condizione, la possibilità e la ragion d’essere dell’uomo, così come si può comprendere dal sapere trasmessoci nel tempo dagli antichi, in numerose forme. La visione della scultura di Michelangelo tocca il cuore e ha una leggerezza e una delicatezza rare. Per me pittore, da subito, è emersa l’esigenza di cercare una pittura vitale e scultorea, e Michelangelo ne è stato grande maestro. Per cui il mio tentativo di pittura si rivolge alla visione di qualcosa che è altro dal visibile empirico, ma col quale è inseparabilmente intrecciato, è mescolato ad esso; la ricerca dell’essenziale della rappresentazione, come ambizione e fine, è legato alla ricerca di essenzialità nella vita e ne è  conseguenza e speranza di conoscere. Crocifissione, umanità, mistero. È tutto in queste tre parole».

La mostra è stata organizzata da EtraStudio

Lorenzo Puglisi | Davanti a Michelangelo. Crocifissione, umanità, mistero
20.09.2020 | 01.11.2020
Basilica di Santo Spirito | Piazza santo spirito 30 | Firenze
Inaugurazione | Sabato 19.09.2020 ore 11.30
Aperta: lunedì/sabato ore 10-12.45 e 15-17.45; domenica ore 11.30-13.15 e 15-17.45; mercoledì chiuso
Ingresso: 2 euro
Sito web: www.basilicasantospirito.it
Telefono: 055 210030

Firenze. “Nella Divina Accademia. Parlano gli Artisti” da Michelangelo a Lorenzo Bartolini

È l’ora di chiusura, la Galleria dell’Accademia di Firenze si svuota dei visitatori, i custodi se ne vanno e, man mano che scende la notte, le sale si animano di fantasmi. Va in scena Nella Divina Accademia e gli artisti che rendono famoso il museo in tutto il mondo – scultori, pittori, musicisti – escono dalle tante opere di cui sono autori, e ci guidano in una visita molto speciale alle collezioni della Galleria, approfondendo la sua storia, quella di Firenze e dei tanti capolavori ospitati.

Nella Divina Accademia. Parlano gli artisti è un video animato, leggero e divertente, nato da un’idea di Cecilie Hollberg, direttore della Galleria dell’Accademia, realizzato per presentare il museo a un pubblico più ampio, dai più giovani ai più grandi. Soggetto e sceneggiatura sono di Cecilie Hollberg insieme all’architetto Paolo Fiumi che ne ha curato anche le illustrazioni. Il video è  visibile dal link https://youtu.be/16AU1wSIVOk.

Nel video, a condurre le danze e a orchestrare queste strane creature notturne – in procinto di allestire una festa per il giorno di San Luca, santo patrono dei pittori, con tanto di banchetto, ghirlande di fiori e musica – è il grande Michelangelo Buonarroti che si affaccia nella Tribuna da dietro il tronco sul quali si appoggia il polpaccio della statua del David. E con lui Lorenzo Monaco, Taddeo Gaddi, Andrea Orcagna, Sandro Botticelli, Domenico Ghirlandaio, Alessandro Allori, Pontormo, Bronzino, Antonio Stradivari, Bartolomeo Cristofori, Lorenzo Bartolini, a rappresentare le diverse anime storico-artistiche che compongono il patrimonio del museo.

Dall’imponente statua del David che domina la Tribuna – Sì, pare che vengano da tutto il globo terracqueo solo per lui … si lamenta Taddeo Gaddi – si passa ai trittici e le pale d’altare, quei fondi oro che hanno fatto brillare la fantasia di Michelangelo e di cui la Galleria dell’Accademia conserva la collezione più importante al mondo. Segue una carrellata sulle opere, tra gli altri, di Sandro Botticelli con il suo maestro Domenico Ghirlandaio, e del Pontormo. Per l’organizzazione della festa di San Luca sono chiamati a far musica Antonio Stradivari e Bartolomeo Cristofori, due azzimati signori in redingote, che appaiono dagli strumenti musicali antichi che gli appartenevano, rispettivamente la famosa ‘viola’ e il ‘clavicembalo’ della Collezione del Conservatorio Luigi Cherubini, conservati nel Dipartimento degli strumenti musicali. E Bartolomeo Cristofori ha il privilegio “…di aver inventato la più rivoluzionaria macchina sonora che con dei martelli che percuotano le corde…, cioè l’arpicimbalo che poi sarebbe diventato il famoso pianoforte…”

Nella Divina Accademia si conclude nella Gipsoteca dedicata ai modelli di Lorenzo Bartolini, una delle più importanti raccolte del suo genere in Italia. Bartolini che ebbe l’idea “… di far mettere il David al riparo dalle intemperie, quando era professore dell’Accademia di Belle Arti”.

Paolo Fiumi è un architetto di Firenze che lavora anche come scenografo e illustratore.
Per l’architettura si occupa del recupero e del restauro di edifici, progetta interni e giardini. Disegna scenografie per il teatro, la moda e per installazioni di arte.

 

Festa di San Giovanni con il David di Michelangelo, gratis l’ingresso per i fiorentini

L’Associazione Amici della Galleria dell’Accademia di Firenze regala a tutti i fiorentini residenti l’opportunità di visitare gratuitamente la Galleria dell’Accademia di Firenze, mercoledì 24 giugno, in occasione della festa del Santo Patrono della città, San Giovanni. Basta presentarsi in biglietteria con un documento di identità valido, attestante la residenza, e ritirare il biglietto, fino a esaurimento ingressi. Un’occasione per ammirare il David di Michelangelo insieme a I Prigioni, godersi con tranquillità una visita alle collezioni della Galleria e alla sua splendida Gipsoteca.

Restano invariati per tutti gli altri visitatori le tariffe, le riduzioni e le altre gratuità previste per legge.

La Galleria dell’Accademia sarà aperta dalle ore 9 alle ore 14, ultimo ingresso mezz’ora prima della chiusura.

 

Al via il restauro della Pietà Bandini di Michelangelo grazie alla Fondazione Friends of Florence

La Pietà di Michelangelo dell’Opera del Duomo a Firenze o Pietà Bandini sarà sottoposta a un restauro che avrà inizio il 23 novembre 2019 e terminerà entro l’estate del 2020. Il pubblico potrà vedere tutte le fasi del restauro grazie ad un cantiere “aperto”, progettato appositamente, nel Museo dell’Opera del Duomo dove il gruppo scultoreo è conservato.

L’intervento commissionato dall’Opera di Santa Maria del Fiore, finanziato dalla Fondazione Friends of Florence sotto la tutela della Soprintendenza ABAP per la città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato, è stato affidato a Paola Rosa, coadiuvata da un’equipe di professionisti, che dopo la formazione all’Opificio delle Pietre Dure ha maturato una trentennale esperienza su opere di grandi artisti del passato tra cui Michelangelo stesso.

Scolpita in un enorme blocco di marmo bianco di Carrara, tra il 1547 e il 1555 circa, quando Michelangelo era alla soglia di suoi 80 anni, la Pietà dell’Opera del Duomo a Firenze, carica di vissuto e sofferenza, è una delle tre realizzate dal grande artista. A differenza delle altre due – quella giovanile vaticana e la successiva Rondanini – il corpo del Cristo è sorretto non solo da Maria ma anche da Maddalena e dall’anziano Nicodemo, a cui Michelangelo ha dato il proprio volto. Particolare confermato anche dai due biografi coevi all’artista, Giorgio Vasari e Ascanio Condivi, grazie a cui sappiamo che la scultura era destinata a un altare di una chiesa romana, ai cui piedi l’artista avrebbe voluto essere sepolto. La Pietà di Firenze, capolavoro di Michelangelo “è considerata come altre sculture del Buonarroti – afferma Timothy Verdon, direttore del Museoopera non finita, anche se la dizione che più le competerebbe è quella del XVI secolo quando si diceva ancora opera infinita”.

Pietà Bandini; Opera di Santa Maria del Fiore, Museo dell’Opera del Duomo, Firenze

Si tratterà di un restauro che sarà rispettoso della visione oramai consolidata di una superficie visibilmente “ambrata” della Pietà e rispettoso delle patine che nel tempo con il loro naturale processo d’invecchiamento hanno trasformato la cromia originaria del marmo. Il restauro, la cui fase iniziale riguarderà un’ampia campagna diagnostica, ha lo scopo di migliorare la lettura dell’opera che risulta mortificata dalla presenza di depositi e sostanze estranee alle superfici marmoree del gruppo scultoreo.

Le fonti non riportano particolari interventi di restauro avvenuti in passato, se non quello eseguito poco dopo la sua realizzazione da Tiberio Calcagni, scultore fiorentino vicino a Michelangelo, entro il 1565. Nell’arco di oltre 470 anni di vita, durante i numerosi passaggi di proprietà e le traumatiche vicende storiche, è presumibile che la Pietà sia stata sottoposta a vari interventi di manutenzione che però non risultano documentati perché considerati semplici operazioni di routine. Risulta, invece, documentato il calco eseguito nel 1882, di cui rimane la copia di gesso conservata alla Gipsoteca del Liceo Artistico di Porta Romana a Firenze. Probabilmente è proprio in conseguenza di questo intervento ottocentesco che la superficie del gruppo scultoreo si è modificata cromaticamente, soprattutto a causa dell’alterazione delle sostanze utilizzate per l’esecuzione del calco, ma anche di quelle più aggressive impiegate per rimuoverne i residui. Si ha notizia di un trasferimento dell’opera alla Galleria dell’Accademia, dal 1946 al 1949, per studiare una collocazione migliore e in quell’occasione sembra che l’opera sia stata sottoposta a una “pulitura” di cui però non si conoscono i particolari.

L’attuale intervento si avvarrà anche dei risultati delle indagini diagnostiche e gammagrafiche, eseguite rispettivamente dall’Opificio delle Pietre Dure e dall’ENEA nella campagna di studio svolta alla fine degli anni ‘90 e pubblicate nel 2006 nel volume “La Pietà di Michelangelo a Firenze” a cura di Jack Wasserman.

La storia della Pietà dell’Opera del Duomo di Firenze o Pietà Bandini è degna di un romanzo. Michelangelo non solo non la termina, ma tenta di distruggerla in un momento di sconforto. L’opera danneggiata è da lui donata al suo servitore Antonio da Casteldurante che, dopo averla fatta restaurare da Tiberio Calcagni, la vende al banchiere Francesco Bandini per 200 scudi, il quale la colloca nel giardino della sua villa romana a Montecavallo. Nel 1649, gli eredi Bandini la vendono al cardinale Luigi Capponi che la porterà nel suo palazzo a Montecitorio a Roma e quattro anni dopo nel Palazzo Rusticucci Accoramboni. Il 25 luglio 1671, il pronipote del cardinale Capponi, Piero, la vende a Cosimo III de Medici, Granduca di Toscana, su mediazione di Paolo Falconieri, gentiluomo alla corte fiorentina. Dopo tre anni di ulteriore permanenza a Roma, per le difficoltà incontrate nel trasportarla, nel 1674 la Pietà viene imbarcata a Civitavecchia, raggiunge Livorno, e da lì, lungo l’Arno, arriva a Firenze dove viene posta nei sotterranei della Basilica di San Lorenzo. Vi rimarrà fino al 1722, quando Cosimo III la farà sistemare sul retro dell’altare maggiore della Cattedrale di Santa Maria del Fiore. Nel 1933, il gruppo scultoreo viene spostato nella Cappella di Sant’Andrea per renderla più visibile. Dal 1942 al 1945, per proteggerla dalla guerra, la Pietà è messa al riparo in rifugi appositamente allestiti in Duomo. Nel 1949, l’opera ritorna nella Cappella di Sant’Andrea in Cattedrale, dove rimarrà fino al 1981, quando verrà spostata nel Museo dell’Opera del Duomo. La decisione di trasferirla al Museo è motivata dalla necessità di non arrecare disturbo al culto per la grande affluenza di turisti e per ragioni di sicurezza (nel 1972 era stata vandalizzata la Pietà vaticana). Dalla fine del 2015, nel nuovo Museo dell’Opera del Duomo, la Pietà viene posta al centro della sala intitolata Tribuna di Michelangelo, su un basamento che rievoca l’altare a cui era probabilmente destinata.

 “Le opere del nuovo Museo sono state oggetto di una vasta campagna di restauro realizzata in occasione dell’apertura al pubblico alla fine del 2015 – dichiara il Presidente dell’Opera di Santa Maria del Fiore, Luca Bagnoli – mentre la Pietà di Michelangelo, capolavoro tra i più iconici della collezione, rimaneva ancora da restaurare. L’Opera ha deciso di avviare anche questo delicato intervento, con il supporto della Fondazione Friends of Florence, per  migliorare la lettura del gruppo scultoreo e così permettere alle migliaia di visitatori, che ogni anno scelgono i nostri monumenti, di poter godere al meglio anche di questo straordinario capolavoro”.

 “Da quando con Friends of Florence abbiamo iniziato il percorso per la salvaguardia del patrimonio di Firenze, definito da tutti patrimonio dell’umanità – afferma la Presidente della Fondazione Friends of Florence, Simonetta Brandolini D’Adda – abbiamo sempre avuto una particolare attenzione per il restauro delle opere di Michelangelo: dal David, ai Prigioni, dai disegni dell’artista, al Dio Fluviale fino al riposizionamento del Cristo ligneo di Michelangelo al centro della Sagrestia di Santo Spirito.  Stiamo per iniziare adesso un progetto affascinante che ci porta a restaurare, a fianco dell’Opera di Santa Maria del Fiore, la Pietà Bandini, un vero capolavoro che rispecchia l’anima tormentata del grande genio michelangiolesco”.